Il mio nome è...

Tre mesi di Scandinavia dovrebbero essere sufficienti a maturare qualche certezza in più su di sé. Sì e no: i modi per conoscersi e farsi riconoscere possono essere più del previsto. È ora di un riepilogo per mettere un po' d'ordine.
Era l'inizio di questa avventura quando imparavo che per essere qualcuno in Svezia conta avere i numeri, quelli del codice personale; vengono prima del nome e cognome; senza, può diventare un problema prendere a prestito un libro, richiedere una borsa di studio, aprire un conto in banca, farsi curare in ospedale... Dal 16 gennaio io sono 870914-P751.
Dietro la persona (o la marchiatura) c'è sempre una città. “Da dove vengo? Ferrara!”. La reazione, di solito la stessa: “...”. Eccezion fatta per Margaux, quella francese che nella foto del profilo di Facebook ho trovato seduta su un grande tronco d'albero... il cedro di parco Massari! Subire ogni volta può risultare noioso, e così perlomeno ci si sbizzarrisce a cercare varianti sul tema (“a middle size city, in the North-East”; “the city of the Tagliatelle”; “Spal's city”; “not Ferrero nor Ferrari but in the same region”). Naturalmente, senza esito. Tocca così infine ricorrere all'aiuto delle sorelle maggiori: “It's a city close to Bologna... and not so far from Venice and Florence”. L'illusione che perlomeno una lontana idea di Ferrara abbia smesso di vagare per l'antimateria è raggiunta.
Certo, poi sono italiano (di Pizzalandia, secondo la magnifica ironia di Sarah, l'insegnante di svedese), con tutto ciò che oggi vuol dire: Berlusconi inizia a non essere più di moda; Monti – è ovvio – non fa notizia; la Mafia è quella che è, e la Camorra, ripetutamente confusa con Gomorra, la sta ormai per superare in popolarità (la letteratura contemporanea conosciuta si riduce tutta a Saviano). Pizza, spaghetti, ma non sempre Nutella (di tanto in tanto scambiata per tedesca). Buffon e Materazzi. Parole chiave che però non dicono tutto, perché la vera scoperta è che noi italici prima ancora parliamo col corpo; gesticolare è visto con una certa subdola simpatia, un po' quella che si prova davanti agli animali da circo. Se il cosiddetto gesto della pigna è il primo a richiedere una spiegazione, mi riservo quello dell'ombrello per un'occasione importante. [Testimonianza filmata: http://www.youtube.com/watch?v=9JhuOicPFZY]
In un mondo del tutto nuovo, presentarsi diventa un rito quasi quotidiano. Sono straniero, eppure nient'affatto uno sconosciuto agli occhi degli svedesi, ma anche dei francesi, dei tedeschi, degli olandesi, dei greci, degli americani e dei sudamericani, dei turchi e degli asiatici di ogni latitudine. Non l'avrei mai detto, ma se sono così famoso lo devo a mio fratello: in effetti quante volte, da piccoli, giocavamo insieme! Pomeriggi interminabili, sfide memorabili, compagni inseparabili; e tu sempre con quel rosso Ferrari addosso. Scusa, Paolo, non sei tu quello da ringraziare. “I'm Luigi”; “...Ah! Th...”; “Yes, of course; the brother of Mario”.
In qualche occasione, specie le più ufficiali, le tradizionali formalità continuano a servire. Era la prima “Swedish dinner” organizzata nel pub della facoltà, e alla ricerca di me stesso, sottoforma di etichetta segnaposto, finalmente ecco l'occasione di realizzarmi davanti a nome e cognome; non significa che corrispondesse al mio: con acrobatica storpiatura ero diventato Lurgi Ponsini. Forse per risarcimento, è arrivata una seconda possibilità: giusto il tempo di una cena certo, ma il gusto di essere Brad Pitt l'ho provato.
Ormai diviso tra il trasformismo e la crisi di identità, resta forse solo un'ultima difesa. Quando l'amico Simon l'ha scoperto, gli è piaciuto; l'ha imparato. I tedeschi, per definizione, non si sbagliano. Il suo Bogio con inflessione germanica suona davvero molto bene.

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